Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Non chiederci la parola (Ossi di Seppia, 1925), terza strofa

Eugenio Montale è nato a Genova nel 1896. Lui era poeta, scrittore, giornalista e anche traduttore. Già dalla prima raccolta di poesie Ossi di Seppia, 1925), lui creò una poetica del negativo esprimendo il “male di Vivere”. Questa poetica viene approfondita nella raccolta “Occasioni (1939)”, dove la riflessione sul male di vivere viene sostituita da una poetica dell’oggetto: il poeta concentra la sua attenzione su oggetti e immagini ben definite che spesso provengono dal ricordo e si presentano come rivelazioni momentanee destinate a svanire.

Prendeva forma così quella particolare interpretazione montaliana della lezione simbolista (per la quale si è parlato di «correlativo oggettivo» e il suo nome è stato accostato a quello di Th. S. Eliot), che è altresì all’origine dello stile illustre novecentesco portato a perfezione proprio da Montale. Si tratta di sorta di classicismo virtuale, in cui il poeta riesce a fornire un equivalente (e non un’imitazione) delle forme chiuse e della precisa definizione dell’enunciato, proprie della tradizione.

Dopo la raccolta “La bufera e altro” (1956) che raccoglie le poesie degli anni della guerra (Bufera) e quelli immediatamente successivi, per un decennio non scrive quasi nulla. Nel 1963 muore la moglie e ciò dà avvio a una nuova fase di poesia, dunque a nuovi temi e stile: Satura (1971), Diario del ’71 e del ’72 (1973) e Quaderno di quattro anni (1977).

Dopo aver vissuto per un ventennio a Firenze, Montale trascorre l’ultima parte della sua vita (dal 1948 alla morte) a Milano. Diventa redattore del Corriere della Sera occupandosi, in particolare, del Teatro alla Scala e critico musicale per il Corriere d’informazione. Scrive inoltre reportage culturali da vari Paesi (fra cui il Medio Oriente, visitato in occasione del pellegrinaggio di papa Paolo VI in Terra Santa). Scrive altresì di letteratura anglo-americana per la terza pagina, avvalendosi anche della collaborazione dell’amico americano Henry Furst, il quale gli invia molti articoli su autori e argomenti da lui stesso richiesti. La vicenda venne rivelata da Mario Soldati nel racconto Due amici (Montale e Furst) nel volume Rami secchi (Rizzoli 1989) e soprattutto da Marcello Staglieno, con la pubblicazione su una terza pagina de il Giornale diretto da Indro Montanelli di alcune delle lettere inedite di Montale all’amico. Nel 1956, oltre a “La bufera” esce anche la raccolta di prose “Farfalla di Dinard”.

L’ultimo tempo della poesia montaliana, inaspettatamente fecondo e cordiale, prende l’avvio da Satura (1971), in cui confluiscono anche, con altre successive, le liriche del volumetto Xenia (1966), scritte per la morte della moglie Drusilla Tanzi, e prosegue, come un’ininterrotta rivelazione, attraverso Diario del ’71 e del ’72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977) e Altri versi (1981), una raccolta quest’ultima già anticipata nell’ed. critica complessiva, L’opera in versi (a cura di M. Bettarini e G. Contini, 1980), che comprende anche il Quaderno di traduzioni (1948; ed. accr. 1975), con versioni poetiche da Shakespeare, Hopkins, Joyce, Eliot, ecc., e offre una sezione di Poesie disperse edite e inedite.

Nel 1967 Eugenio Montale è nominato senatore a vita e nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura, «per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni».